M A S C A R A

Fortunato D'Amico

 

Silvia Rastelli interpreta i visi delle persone come se fossero aree geografiche emerse dal mare magnum dell'inconscio e trasformate in volti umani simili a profili di nazioni, luoghi contenitori di culture e stili di vita differenti.

Esposti a letture incrociate, determinate dal reciproco confrontarsi, le fisionomie disegnate con la grafite sulle superfici in legno, dialogano tra di loro, enunciando differenze e analogie, dichiarandosi nel ruolo di presenze attive per la formazione di una società aperta al confronto e alla multiculturalità.

Le grandi passioni di Silvia Rastelli, oltre alla pittura, sono la danza e la filosofia, strumenti di cui si serve per sperimentare le possibilità del corpo e della mente di coniugarsi con l'assoluto. Venezia non è solo un luogo fisico costituito da architetture e acque fluttuanti, ma essa è anche un simbolo, un contenitore nato per il potenziamento progressivo dell'idea di amalgamare l'umanità, proveniente da tutti i cantoni del mondo, ruotando la leva della cultura e dell'arte nelle acque della laguna.

Una vocazione sostenuta dalla presenza di Venere, divinità che splende luminosa nel cielo e nelle increspature liquide delle calli lagunari, soccorritrice di naviganti e ispiratrice ricca di poetiche creative.

Venezia, con le sue sagome stagliate nella luce rosso fuoco del tramonto, è per Silvia Rastelli un'interfaccia di connessione con le tematiche di ricerca, approfondite in questi anni di attività, che hanno caratterizzato il suo percorso di formazione artistica.

La città offre spunti per riflessioni profonde sulla natura dei medium e dei materiali di comunicazione, elementi tangibili o concettuali, utilizzati nella rappresentazione della visione archetipa dell'arte e adattati in funzione della sua divulgazione in ambienti culturali diversi. Un accomodamento dell'apparato scenico elaborato indagando tra i parallelismi del logos e del sito, espresso attraverso codici e vocaboli sviluppati dal linguaggio locale.

L'idilliaco rapporto tra l'atto di rivelarsi e di nascondersi, esaltato dalla poetica del carnevale veneziano, è il tratto distintivo di questa mostra di Silvia Rastelli, che allaccia il contenuto delle le sue opere a quello ludico dell'antica festa popolare giunta a noi lungo il percorso storico dei canali. Una città galleggiante, danzante con i movimenti ritmici e melodici modulati dallo scroscio delle acque, che con coriandoli, maschere e musiche di Vivaldi compendia le diversità multietniche delle popolazioni qui dimorate nel corso della Storia.

[presentazione scritta in occasione della mostra Mascara nei Docks dell'Arsenale della Biennale di Venezia ]

 

 

 

COSÌ ORDINATA, COSÌ COLORATA, COSÌ A PEZZI.

REALTÀ UMANA E NATURA NELLE TELE DI SILVIA RASTELLI

Maria Flora Giubilei

 

Si prenda un museo tradizionale con quasi trecento opere firmate dai più importanti artisti di fine Ottocento, lo si apra a una diafana e flessuosa artista-danzatrice-perfomer, le si assegnino sale e muri e ci si stupisca per il risultato.

La sicurezza positivista di molti paesaggi, la timidezza simbolista e appena inquieta di altrettanti ritratti, la salda potenza classicheggiante delle anatomie in odore di igienico salutismo saranno scardinate dalla solidità brillante e impenetrabile di colori compatti che non consentono profondità di sorta; dai segni puliti di un’illustrazione scolpita sulla tela; dalla sincopata, irrituale, incalzante e irritante evocazione di occhi, nasi, mascelle, orecchie, labbra, braccia, piedi, spalle e polpacci.

Tutto concorrerà a costruire un enorme collage-puzzle dalle grandi tessere di colori primari e di neri assoluti, che, a sua volta, conterrà - quasi una matrioska mondriana - altri mosaici con varie declinazioni cromatiche e porzioni di volti femminili, sistemazione in piano di un magico cubo di Rubik che si concede alle bizzarrie, alle perversioni, alle angosce, ai segreti della natura umana pirandellianamente dispiegata in tutte le etnie - una, nessuna, centomila - mentre scandisce il ritmo di un’essenziale e silenziosa sinfonia di colori caldi e di colori freddi.

Labbra serrate, sottili, carnose di donne europee, africane, asiatiche, americane, velate e non: sguardi vivi, pericolosamente segnati - e non di rado - da profonde occhiaie, zigomi pesti di luci dolorosamente scure.

Un racconto forte, sempre tutto al femminile con un unico intruso maschile, un compagno di vita, elemento nodale di un rigoroso e impenetrabile dittico centrato sulla coppia.

A lui Silvia Rastelli dedica il bassorilievo dipinto di un profilo netto, tagliente e volitivo, un novello federico-da-montefeltro che stacca dal cobalto del fondo lo sguardo lontano; e a lui, lei si avvicina con l’intensità simbolica di un rosso complementare e l’impassibilità di un autoritratto, scrigno impenetrabile di inaccessibili pensieri.

Per comprendere la realtà che la circonda, per raccontarla, Rastelli deve dunque smontarla, sezionarla col suo segno a tratti malizioso, ma sempre governato e severo nel virtuosismo accademico di un pennello che padroneggia la materia, che aggiunge bagliori, luci e forse sogni alle nuove-antiche protagoniste di queste storie da museo, mentre elimina, con voluto gesto straniante, unitaria e scontata completezza di lettura. Non pezzi di divinità smembrate e cadute sulla terra alla Mitoraj, ma lo studio reiterato del complesso universo femminile, sempre più enigmatico, sempre più nascosto e inafferrabile - lo sguardo precluso da una ghigliottina di colore - nelle ultime opere di libera creatività.

Lo fa con il patinato ritratto della contessa prussiana Suzanne Henriette Beatrice van Bylandt, finissimo e malinconico capolavoro di Giovanni Boldini che la dipinge sulla tela nel 1901 con un’acconciatura piena di rose alla moda parigina di quegli anni.

Cinque sono le tele che Silvia ne trae, realizzate con una tensione illustrativa da anatomopatologa capace di restituire il soffio della vita a labbra e occhi; e, subito dopo, capace di scorgere, come una regista noir alla Dario Argento nel celeberrimo Quattro mosche di velluto grigio, l’ultima immagine del killer impressa sul cristallino della vittima.

Accade nell’occhio della contessa, ma anche nello sguardo compiaciuto, e venato di un diabolico rosso, della Gabbrigiana-Scellerata-Anna Magnani tratta dall’affascinante volto dell’Edera di quel Silvestro Lega pittore della “macchia” che, nella fierezza rustica delle contadine del Gabbro, paese della zona livornese, aveva trovato fonte d’ispirazione negli ultimi vent’anni dell’Ottocento; ma pure nel verde smeraldo che, come un coccio di vetro, brilla ambiguamente nell’occhio della Fanciulla abruzzese dipinta da Francesco Paolo Michetti intorno al 1880 - maestro della fotografia e grande amico del conterraneo D’Annunzio di cui sorbiva la linfa decadente - improvvisamente cresciuta d’età e già donna con quel mazzetto di fiori acceso di un rosso sospetto.

E se le delicate rose chiare della contessa van Bylandt divengono un’unica corolla dalla repulsiva e preoccupante bellezza per il groviglio di petali stropicciati e orlati di misteriosi bagliori rossi, ancora drammaticamente rossi sono i petali in legno profusi in un’installazione che spalanca al ciclo mortalmente vitale di quei fiori le imposte del fertile e generoso estro creativo di Silvia Rastelli.

 [testo tratto dal catalogo Luna Rossa, in occasione della mostra alle Gallerie Frugone di Genova e Nervi]

 

 

 

ANIMA

Chiara Milesi

 

E’ la mia anima che vi ha scelto, non i miei occhi.

L’eleganza del tratto e la femminilità estetizzante sono le peculiarità più immediate che si possono riscontrare nelle opere di Silvia Rastelli.

Profili ieratici ma delicati raccontano le sfumature dell’animo umano attraverso un segno grafico quasi evanescente. Il colore di sfondo, puro e deciso, esalta quella raffinata sensibilità che contraddistingue il volto e lo sguardo.

Alla leggerezza dell’immagine si contrappone la solidità del supporto: il legno, un materiale caldo e poroso, che rimanda ad un concetto di tempo e memoria.

Così i dettagli che Silvia Rastelli decide di raffigurare sono attimi di memoria, di un istante passato, fermato per sempre nel tempo.

[presentazione della mostra Anima, galleria Civico8, Vigevano]

 

 

 

LUNA ROSSA

Fortunato D’Amico

 

Silvia Rastelli è una giovane artista diplomata all’Accademia di Brera, portavoce di una tendenza figurativa orientata alla costruzione di una pittura in cui è preminente l’aspetto grafico e cromatico.

Essenzialmente ritrattista, Silvia Rastelli nasce nella bottega del padre, scultore del legno che l’a­dotta in qualità di modella, ritraendola nelle movenze slanciate di un’acrobata, di una tuffatrice, o nei movimenti aggraziati di una ballerina classica.

Entrambe le discipline, la pittura e la danza, orientano i suoi interessi e le predisposizioni culturali.

Se il segno grafico e la pittura mostrano la realtà delle forme costrette dentro una griglia bidimen­sionale e statica, il balletto è invece un linguaggio performativo, costruito sul corpo tangibile del danzatore per dare vita a un’oggettività dinamica attiva nello spazio a più profondità.

Due discipline apparentemente inconciliabili, ma che se esplorate attraverso vari metalinguaggi dispongono le fondamenta di una grammatica unitaria, appropriata alla creazione di categorie tra­sversali di cui in futuro saranno tracciate le movenze.

Infatti, da qualche tempo è consuetudine di Silvia accompagnare le sue mostre con attività conco­mitanti, dove la combinazione di entrambe le arti esamina il tema espositivo.

Questo procedere le ha consentito di intercettare aperture filologiche originali derivate dalla coniugazione di ambedue i linguaggi e di immaginare soluzioni narrative, ancora in parte da metabolizzare, ma che già le hanno consentito di intraprendere un percorso critico e di allargare la partecipazione ai suoi progetti anche ad altri interventi esterni.

In questa rassegna, esibita negli spazi delle Raccolte Frugone dei Musei di Nervi, le tele di illustri pittori presenti nella collezione dialogano con quelle di Silvia Rastelli, per l’occasione impegnata a promuovere un confronto sistematico tra alcune di queste opere e le sue reinterpretazioni.

Un esercizio di riscrittura ma non di copiatura, dove la pittura e il disegno precisano le differenze e le tensioni poetiche tra le diverse generazioni di ritrattisti e i loro soggetti in comparazione e indicano il senso delle trasformazioni avvenute nella nostra società nel corso degli ultimi 150 anni.

L’ingresso dei nuovi media, la libertà assoluta dell’immagine conquistata dalla nascita della foto­grafia a oggi, la sua destrutturazione, la rappresentazione di soggetti astratti, impensabili da for­malizzare ancora nelle ricerche del primo novecento, la natura sempre più intimista dell’arte della nostra epoca, caratterizza dalla perdita della committenza e da un mercato che ne ha equiparato la produzione a quella di qualsiasi altra merce, hanno accentuato il divario tra il passato e il mondo contemporaneo.

Questi elementi sono ora parametri possibili del dibattito per interpretare la storia nei suoi passaggi generazionali.

Il nome dato a questa mostra è Luna Rossa. Può suonare strano ma in realtà non lo è.

L’arte di Silvia Rastelli è lunare, algida, tipicamente femminile, costruita su percorsi psicologici e d’indagine interiore, tesa a manifestarsi tramite i profili dell efacce di individui studiati per diventare i protagonisti delle sue opere.

I volti, puliti da fronzoli e orpelli decorativi, diventano allegorie indicative dell’animo e della storia delle persone cui appartengono, evidenziandone l’intimità delle emozioni e la loro profondità, ma senza per questo entrare in empatia con le loro agitazioni.

Anzi, l’atteggia­mento contemplativo di Silvia Rastelli rispetto all’oggetto di studio, si pone a distanze calibrate e orientate a controllare gli effetti di resa espressiva, ottenuta accentuando gli aspetti asettici della soluzione estetica e diminuendo quelli congiunti alla comunicazione del pathos emozionale di chi si ha di fronte.

Il contrasto delle ombre, portate a dare spessore alle fisionomie raffigurate, è ammorbidito dai co­lori dello sfondo, volutamente appiattiti da gradazioni luminose per decontestualizzare la lettura da qualsiasi altro condizionamento, se non quello riferito alle sembianze del soggetto elaborato.

Il focus enunciato non ha la tempra solare ma quella dell’astro notturno, portatore di un messaggio che tende a isolare e togliere piuttosto che a diffondere e moltiplicare.

Questo trattare con distacco la materia d’interesse nasconde la psicologia della donna che attraver­so l’arte muove le sue attitudini alla ricerca di una propria identità.

Simile alla Luna che nei 29 giorni del ciclo sinodico frammenta la sua immagine, proponendo all’osservatore inquadrature diverse della sua rappresentazione, le figure di Silvia Rastelli si frammentano nello sfondo di supporti colo­rati, quasi a volere seguire ed imitare i comportamenti e le trasfigurazione morfologiche presentate dal satellite terrestre.

Ha ragione Stefano Fugazza quando a proposito di questi dipinti li definisce appartenenti alla “poetica del frammento”. Tali analogie sono anche equiparabili alle procedure tecniche per la pro­duzione del quadro, realizzato disegnando e dipingendo l’immagine proiettata sopra una tavola di legno in pioppo, prima tagliata, poi levigata e carteggiata finemente, quindi pronta ad accogliere la grafica e la pittura di Silvia.

Le venature, i nodi, e le parti caratteristiche di questo materiale vengono occultate dai processi di lavorazione e dall’uso dei colori acrilici che lo renderanno impersonale e generico.

L’eliminazione delle passioni è sostituita dalla tenacia e dalla decisione diretta a ottenere precisi risultati tecnici, appropriati alla performance individuale.

Il meccanismo è evidente anche nelle attività legate alla danza, dove la comunicazione dei contenuti affidata al corpo e ai suoi movimenti subisce l’influsso rigoroso della tecnica rispetto alla libera espressione di gesti determinati dal trasporto emotivo.

Il rimando continuo al sentimento e la fredda risolutezza della tecnica impostano i valori della dicotomia che regge l’impianto formale e rende originale la ricerca di Silvia Rastelli.

La sue riflessioni vibrano in assonanza con le energie della luna rossa: la cangiante superficie lunare specchia sul suo corpo le forme, i colori degli oceani, delle foreste, dei deserti, senza mai entrare in contatto diretto con loro, ma sfiorandoli e attirandoli a sé con il magnetismo della sua forza.

[testo tratto dal catalogo Luna Rossa, in occasione della mostra alle Gallerie Frugone di Genova e Nervi]